Come spesso accade, l’ordinamento italiano si trova a dover adeguare la normativa interna sulla scia di orientamenti espressi dall’Unione Europea: arriva infatti dalla Corte di Giustizia l’input che potrebbe radicalmente cambiare (e in gran parte ha già cambiato) la disciplina del subappalto nei contratti pubblici.
La Corte di Giustizia Europea, nella sentenza del 26 settembre 2019 (causa c-63/18) ha espressamente dichiarato l’incompatibilità della disposizione di cui al comma 2 art. 105 del D. Lgs. 50/2016 con il diritto comunitario, nella parte in cui prevede che, nei contratti pubblici “l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto…”.
Il limite de qua è stato recentemente innalzato dal legislatore italiano al 40%, probabilmente nel tentativo mal riuscito di superare alcuni dei problemi già segnalati dalla Commissione Europea nella procedura di infrazione n. 2018/2273, riguardante varie disposizioni del Codice, tra cui anche talune inerenti il subappalto.
Nelle motivazioni della sentenza in esame si legge che un limite generale al subappalto rende di fatto più difficoltoso l’accesso al mercato da parte delle imprese di piccole e medie dimensioni, ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, rispettivamente tutelati dagli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. La normativa italiana contrasta inoltre con il fondamentale principio di proporzionalità che consente agli stati membri l’adozione di eventuali restrizioni ai diritti di libertà riconosciuti a livello europeo solo laddove le limitazioni risultino veramente necessarie, adeguate, commisurate allo scopo ed efficaci al raggiungimento dello stesso. Inoltre, l’art 105 del Codice dei contratti pubblici non rispetta la Direttiva 2014/24/UE che all’art. 71, con riferimento alle procedure di gara di rilievo comunitario, non contempla limitazioni quantitative al subappalto che viene pertanto ammesso in linea di principio fino alla soglia del 100%.
Il quadro delineato dalle motivazioni in esame evidenzia come il subappalto nell’ordinamento comunitario venga considerato alla stregua di uno strumento capace di incentivare il mercato e la concorrenza. Eventuali limiti, per essere ammissibili, dovrebbero essere sempre proporzionati, circostanziati e giustificati nel singolo bando di gara, in ragione dell’esistenza di particolari interessi pubblici calati nel caso concreto, non essendo ragionevole restringere in astratto il ricorso ad un istituto così importante e utile per il mercato.
A ben vedere, storicamente parlando, lo stesso ordinamento italiano non prevedeva una così stringente limitazione: è solo nel 1990 (con l’art. 18 della legge n. 55) che si regista una netta inversione di tendenza, la cui ratio risiede nella tutela di interessi pubblici generali considerati primari, quali quelli dell’ordine e della sicurezza pubblica. L’istituto del subappalto viene di fatto considerato nell’ordinamento italiano, non tanto come uno strumento a vantaggio delle piccole e medie imprese, ma come un possibile fattore di rischio, idoneo ad aggravare l’infiltrazione criminale negli appalti pubblici a causa delle minori capacità di controllo e verifica sui soggetti coinvolti nell’esecuzione dei contratti (logica tra l’altro confermata dallo stesso Consiglio di Stato nel parere n. 855/2016 reso sullo schema del D. Lgs 50/2016).
La Corte di Giustizia Europea ha invece affermato che la tutela dell’ordine pubblico e il contrasto alla criminalità possono essere parimenti perseguiti adottando misure di concreta prevenzione, senza l’introduzione di limiti astratti, generalizzati ed eccessivamente stringenti.
Viene pertanto riconosciuta a livello comunitario la piena legittimità di controlli capillari, esperibili già nella fase di gara, con possibilità per la Stazione appaltante di richiedere i nominativi dei subappaltatori proposti dai concorrenti, anticipando alla fase della valutazione delle offerte le verifiche in merito alla presenza di motivi di esclusione in capo agli stessi. Tali meccanismi di controllo sui subappaltatori, anticipati rispetto alla fase esecutiva del contratto, sono perfettamente idonei a tutelare le esigenze di trasparenza e di garanzia di affidabilità, nell’ottica di una adeguata ponderazione degli interessi in gioco che non mortifichi la prevenzione di rischi corruttivi e collusivi in fase di affidamento ed esecuzione.
Resta inoltre possibile introdurre eventuali limiti nel singolo bando di gara, su apposita valutazione della Stazione Concedente che dovrà darne esplicita motivazione nel provvedimento, indicando le esigenze concrete sottese alla necessaria restrizione della concorrenza, tra cui si potrebbero ipotizzare: il particolare settore economico o merceologico di riferimento, la natura della prestazione (particolarmente complessa o delicata), esigenze che richiedono di non parcellizzare l’appalto (in correlazione a necessità di coordinamento nell’attuazione del contratto), la complessità e il valore del contratto, la presenza di un limitato numero di operatori economici qualificati.
Il recente pronunciamento della Corte di Giustizia Europea postula un’urgente modifica alla normativa nazionale, come auspicato tra l’altro dall’ANAC nell’atto di segnalazione del 13/11/2019. Tale intervento normativo risulta oggi assolutamente necessario al fine di evitare ulteriori procedure di infrazione oltre che per garantire il corretto svolgimento dell’attività delle pubbliche amministrazioni in funzione della certezza del diritto.
Per quanto concerne il primo aspetto, la stessa ANAC ha sottolineato che la modifica recentemente introdotta dal legislatore italiano che ha temporaneamente innalzato il limite quantitativo di cui all’art. 105 del Codice dei contratti pubblici dal 30% al 40% (cfr. decreto legge n. 32/2019 convertito con la legge n. 55/2019) non sembra aver superato i problemi avanzati dalla Commissione Europea né sembra aver colto la ratio della pronuncia della Corte di Giustizia.
Sotto il profilo della certezza del diritto, risulta particolarmente importante individuare la portata applicativa della pronuncia in esame che, in virtù del primato del diritto comunitario e della valenza normativa della sentenza della Corte di Giustizia Europea, è immediatamente operativa negli ordinamenti degli Stati membri. In primo luogo va considerato che la pronuncia è scaturita da una controversia relativa ad un affidamento di lavori di importo superiore alla soglia comunitaria: la Corte ha infatti espressamente sancito l’incompatibilità della normativa di cui al Codice degli appalti con la Direttiva n. 2014/24/UE che interessa solo le procedure sopra soglia; ne deriverebbe che la portata applicativa della sentenza dovrebbe essere limitata a queste ultime. Tuttavia, poiché nelle motivazioni viene fatto esplicito riferimento al TFUE (fonte di rango regolamentare con portata generale) la pronuncia potrebbe anche ritenersi immediatamente applicabile a tutti gli appalti pubblici, ivi compresi quelli con valore sotto soglia comunitaria, con evidente maggiore impatto sugli ordinamenti interni.
In ultimo, va considerato che l’art. 105 del D. Lgs. 50/2016 non opera alcuna distinzione tra contratti sopra e sotto soglia comunitaria, disponendo una disciplina uniforme del subappalto a prescindere dall’importo del contratto: sembrerebbe quindi ragionevole e opportuno un intervento legislativo che possa finalmente dirimere ogni controversia interpretativa, allineando in modo coerente e completo l’intera disciplina del subappalto nei contratti pubblici ai principi dell’Unione Europea.