Si riporta di seguito l’articolo di Elisa Latella apparso nel n.09-2019 di Largo Cosumo e consultabile al sito www.largoconsumo.info
Il 21 maggio 2019 è arrivato il via libera dal Consiglio Ue alla direttiva che vieta dal 2021 oggetti in plastica monouso come piatti, posate e cannucce. Bandite anche le aste per palloncini e i bastoncini cotonati in plastica. Non è tutto: gli Stati membri si sono impegnati a raggiungere entro il 2029 la soglia del 90% della raccolta delle bottiglie di plastica, che dovranno avere un contenuto riciclato di almeno il 25% entro il 2025 e di almeno il 30% entro il 2030. Il voto del Consiglio segue quello del Parlamento europeo dello scorso 27 marzo e chiude l’iter approvativo della direttiva. Dall’entrata in vigore gli Stati membri hanno due anni per recepirla. A livello imprenditoriale e lavorativo quali sono i riflessi? Rischiano la chiusura 30 aziende italiane con 3.000 addetti.
A lanciare questo allarme il movimento ecologista europeo Fare Ambiente e sette associazioni di categoria e consorzi tra cui Unionplast (Federazione Italiana Gomma Plastica), Corepla (Consorzio Nazionale per la raccolta e il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), Confida (Associazione Italiana Distribuzione Automatica). «La nuova normativa — secondo Vincenzo Pepe, presidente di Fare Ambiente — non inciderà, se non in minima parte, sul problema ambientale. Infatti il 90% della plastica presente negli oceani proviene da dieci fiumi extra-europei, come dimostrano i dati del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (Unep) mentre i rischi produttivi e occupazionali per le imprese italiane sono alti». Questa riflessione è stata centrale nel convegno sul tema organizzato di recente a palazzo Giustiniani a Roma. I produttori di articoli monouso in plastica sono in gran parte made in Italy. Solo i produttori di stoviglie “usa e getta” sono una trentina nel territorio italiano e occupano circa 3.000 dipendenti. «I prodotti monouso in plastica — spiega Marco Omboni, presidente di Pro.Mo Federazione Gomma Plastica — rappresentano solo lo 0,6% della plastica prodotta in Europa. Bandire la plastica monouso produrrebbe gravi danni imprenditoriali e occupazionali per le nostre imprese. Occorre quindi potenziare il riciclo, in cui l’Italia è virtuosa, nell’ottica dell’economia circolare e dare tempo alle imprese per sperimentare nuovi materiali favorendole con incentivi fiscali». Il movimento ecologista europeo Fare Ambiente si sofferma sull’aspetto relativo alla sicurezza alimentare: «Si pensi soprattutto per esempio a piatti e bicchieri di plastica usati negli ospedali. Vietarne l’uso porterà rischi per la salute dei consumatori». David Mc Dowell, docente dell’Università dell’Ulster e presidente in carica del comitato consultivo britannico per la sicurezza alimentare, ha «provato il collegamento tra il bando dei prodotti monouso in plastica e l’aumento della diffusione di batteri come escherichia coli, campylobacter, listeria, norovirus e altri virus che causano gastroenteriti acute».
Rischi di confusione
A parlare sono in numeri: il settore delle acque minerali rappresenta in Italia un giro d’affari di 3 miliardi di euro, comprende 246 marche italiane e 126 imbottigliatori che esportano in oltre 100 Paesi del mondo. La distribuzione automatica italiana di cibi e bevande, dove l’acqua è il secondo prodotto più venduto, ha un giro d’affari di 3 miliardi di euro con 3.000 aziende di gestione dei distributori che occupano 33.000 dipendenti. L’importanza del riciclo emerge nelle parole di Massimo Trapletti, presidente di Confida Associazione Italiana Distribuzione Automatica: «La distribuzione automatica — spiega — opera al 97% all’interno di edifici chiusi (aziende, ospedali, scuole e università) dove è attiva la raccolta differenziata della plastica, quindi la possibilità che la plastica utilizzata nel nostro settore venga dispersa nell’ambiente è inesistente. Inoltre il vending è il primo settore che sperimenta un progetto, chiamato RiVending, di riciclo della plastica di bicchieri e palette del caffè che viene reintrodotta in produzione per produrre nuovi prodotti». La campagna “Plastic Free” ha inoltre creato un po’ di confusione nei provvedimenti emessi da numerose amministrazioni locali (comuni e regioni) e università, spesso contrastanti con i contenuti stessi della Direttiva europea come emerge dall’analisi dell’avvocato Andrea Netti, titolare dello studio Adr, esperto di diritto amministrativo: «Il 47% dei provvedimenti analizzati include erroneamente i bicchieri tra i prodotti monouso in plastica da abolire e ancora il 52% vuole abolire anche le bottiglie d’acqua quando la Direttiva Ue richiede invece nuovi requisiti di fabbricazione ». Tutto ciò rischia di creare confusione per cittadini e operatori commerciali che si troveranno in un comune a poter utilizzare dei prodotti e in un altro no: appare probabile un’infinita serie di ricorsi che intaseranno la giustizia amministrativa.